TOKYO: Interzionalizzarsi. Un termine che più di una volta abbiamo sentito ripetere in differenti frangenti. Aprirsi all'estero, convogliare progetti e investimenti in una dimensione trasversale che abbracci nuove prospettive e nuovi mercati.
Le opportunità? Crescita degli utili, amplificazione della brand awarness di una corporate all'infuori dei confini nazionali, ampliare produttività, diversificare produzione e investimenti, catturare nuova utenza e intavolare sinergie con interlocutori precedentemente irraggiungibili. In un unica parola: CRESCERE.
Molti però dimenticano che internazionalizzare significa necessariamente localizzare, o meglio, RI - localizzare.
Motivo per cui l'oggetto della nostra attività commerciale, ma anche più semplicemente l'idea, l'ambizione che sottende il bisogno di internazionalizzazione medesimo devono trovare applicazione in uno forma ridimensionata in armonia con tessuto culturale, sociale, linguistico, produttivo, comunicativo verso cui tendiamo di estendere la nostra realtà.
Alla luce di tutto ciò, risulta essenziale un'attività di sottile mediazione, in primis è avviata dai soggetti stessi che vivono la partecipazione diretta nel processo di internazionalizzazione: imprenditori, ricercatori, professori, artisti, studenti... e via seguendo.
Un apporto fondamentale è fornito poi da figure di esperti, linguisti, conoscitori del mercato, facilitatori, che uniscono il loro apporto professionale a quello emozionale dei soggetti coinvolti in prima persona. Mediatori culturali e esperti negoziatori che, il più delle volte, si trovano a sostenere non solo il peso professionale della loro attività condotta fra Paese di origine e continue trasferte all'estero, ma sono bensì chiamati ad un sostegno morale e di confronto con i soggetti promotori anche nei momenti in cui il processo rivela ostacoli, stasi e punti critici, se non addirittura perdite rispetto ai piani prefissati, siano essi condotti con alti investimenti o semplicemente con il convogliare energie, estro e ambizione.
Una sfida appassionante che dimostra punti di difficoltà ma anche di marcata realizzazione tanto più alti quanto più questi siano conseguiti in mercati non solo geograficamente lontani, bensì profondamente diversi per business culture, lingua, struttura delle relazioni commerciali e magari tradizionalmente poco inclini alle soluzioni provenienti dall'estero (soprattutto se proposte da piccole e medie imprese, liberi professionisti, artisti e freelance)
L'Asia orientale ben rappresenta un traguardo di questo tipo. Localismi estremamente diversificati all'interno della regione, problematiche diplomatiche e di unificazione commerciale, separazioni monetarie, rallentamento delle pratiche multilaterali all'interno del mercato asiatico stesso sono veri e propri ostacoli ad un processo di internazionalizzazione rapido e di larga proporzione.
Allo stesso tempo però la dimensione di questi mercati regionali, curiosità socio commerciale verso la produttività e creatività made in Europe e made in Italy, tasso di crescita economica in espansione e settori sensibili di speculazione estremamente vividi di quest'area rendono l'Asia orientale un confine di straordinaria attrazione non solo dal lato commerciale ma anche di confronto umano e socio culturale.
Il consiglio che mi sento di muovere da mediatore linguistico e culturale operante in business negotiation in Asia, nippologo e sinologo, diviso nella vita e nel lavoro fra Milano e Tokyo con punte esplorative e di ricerca in Cina, è sicuramente di stimare e cavalcare le potenzialità di queste mercati senza però tralasciarne le difficoltà strutturali che un processo di mediazione e inserimento, di qualunque natura esso sia, possa incontrare.
Cina, Corea, Giappone rappresentano realmente tre panorami di altissima appetibilità per dimensioni strutturali del mercato e le risorse disponibili dal nuovo target sociale (caso della Cina), sensibilità e profonda maturità commerciale nel rispetto di relazioni consolidate (Giappone), eccezionale dinamismo produttivo e bisogno di visibilità a livello regionale e internazionale (Corea).
L'assenza poi di un mercato unitario, se da una parte può essere visto come un ostacolo forte alla rapidità di trasmissione di merci, persone, progetti e investimenti, dall'altro rappresenta un punto di forza, soprattutto in momenti di comprovata crisi internazionale. Laddove i regionalismi economici difatti soffrono unitamente e risentono a livello multiregionale delle problematiche di ogni singolo Stato membro, in Asia orientale la politica economica e commerciale è ancora oggi strutturata secondo trattati bilaterali, salvaguardando alcune prospettive e mantenendo anche in periodo di stagnazione economica un vigorismo perlomeno bilaterale assolutamente continuativo e marcato. Trovarsi all'interno di tale relazione, come realtà estera internazionalizzata, rappresenta un punto di forza non indifferente e di realizzazione pienamente percettibile.
Da diversi anni la corsa giapponese alla salvaguardia delle relazioni commerciali con Cina ha aperto un asse di sinergie molto forti che hanno coinvolto Tokyo, Taipei (Taiwan), Shanghai e Pechino creando un'area di sviluppo intensa delle relazioni fra cui anche molte realtà italiane si sono trovate positivamente e attivamente trascinate. Ora sembra essere la volta della Corea nell'attirare l'interesse dei giapponesi per quanto concerne vigoria produttiva, forza d'export e intensa ricerca applicata agli ambiti tecnologico e scientifici. Un clima di continuo contattoe affiliazione ma anche di perenne e attenta preservazione dei confini in cui anche le realtà straniere vengono a confrontarsi in una rilocalizzazione continua del proprio business.
Questa dimensione appare ricca di spunti di riflessione per quanto concerne le ambizioni di partenza e gli obiettivi prefissati da parte di imprenditori, ricercatori e professionisti italiani in Asia, il più delle volte trascinati dalla contingenza a riconfigurare mediazioni, negoziazioni e target in un appassionato e vigoroso crescendo.
Poter analizzare alcune di queste dinamiche servie realmente a comprendere il tesoro che un'apertura verso questi mercati può rappresentare non solo in termini di profitto quanto di crescita umana, professionale e di relazione interculturale.
Da Tokyo, Paolo Cacciato
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