ASIAN STUDIES GROUP

domenica 18 maggio 2008

Importare dall'Asia per rivendere in Rete. L'intervista

Cina, Giappone, Corea, quante volte si sente parlare di questi Paesi e quante volte la loro produttività sollecita smanie e ambizioni dei merchants italiani, interessati ad importare la merce più disparata per rivenderla in Italia. In uno scenario del genere Internet è indubbiamente una piccola Eldorado, dove la ricerca continua del low price da parte dei consumatori da un lato e quella del business "facile" da parte delle aziende dall'altro, si fondono in un unico binario sul quale viaggia e si concretizza il successo di un sito di e-commerce. 

In che direzione si muove l'e-business? Quali Paesi asiatici offrono maggiori chances di guadagno in Rete? 
Sono solo alcune delle domande che interessano i tanti commercianti italiani, 
affascinati dai possibili guadagni offerti dall'e-commerce e dall'import-export con i principali mercati asiatici. Interrogativi che abbiamo deciso di rivolgere ad un esperto del settore, Paolo Cacciato, business mediator per il mercato cinese e giapponese, coordinatore di Asian Studies Group -asianstudiesgroup.blogspot.com (associazione multidisciplinare specializzata nella formazione linguistica e culturale per la lingua giapponese e cinese) e Direttore Editoriale di Corriere Asia -www.corriereasia.com (magazine di economia, attualità e cultura dei Paesi asiatici). 

ASG

Nel ringraziare il Dr. Cacciato per la disponibilità, riportiamo a seguire il testo integrale dell'intervista.

ITraders: "Negli ultimi tempi spuntano come funghi su Internet siti dedicati all'importazione di prodotti dai Paesi asiatici: portali che permettono anche a chi non ha grande esperienza in materia di realizzare elevati margini di guadagno. Cosa ne pensa? Si tratta di un fenomeno passeggero o è in questa direzione che muoverà il futuro del commercio elettronico b2b e b2c?."
P.Cacciato: "Sicuramente questa svolta nei servizi di supporto all’espansione della rete commerciale internazionale, rivela un bisogno concreto e crescente. Durante i miei mesi di lavoro a Shanghai presso una legal company specializzata, operando come mediatore per la lingua cinese e responsabile marketing per i servizi dell’azienda con cui mi presentavo, durante tutte le fiere di settore la richiesta era sempre la stessa: agevolare un servizio che permettesse e facilitasse sempre più i rapporti di import / export fra Italia e Cina. L’impressione che ho avuto, e su cui ho avuto modo di riflettere, è che il bisogno del piccolo o medio imprenditore italiano sia quello di avere una comunicazione facile, veloce e sicura con quei panorami commerciali, Cina e India in primis, che ormai per consuetudo sociale e di mercato sono divenuti tappa obbligatoria per chi spera di non arrivare in ritardo a compiere qualche guadagno. 

Non sono sicuro che il successo verrà totalmente dalla commercializzazione elettronica del servizio. Continuo infatti a constatare il bisogno delle aziende italiane di confrontarsi costantemente con un interlocutore, di fare riferimento a una struttura nonché di avere percezione fisica del servizio stesso. Elementi che spesso mancano al commercio elettronico, avvertito, talvolta in maniera fuorviante, come impalpabile e instabile. 

C’è anche da dire però, a sostegno della categoria di professionisti specializzati nel commercio elettronico o anche semplicemente in una policy manageriale al passo con le tecnologie comunicative, che spesso in Italia è d’abitudine scontrarsi con lentezze e incapacità di valorizzazione degli strumenti informatici e della rete globale, tali da vanificare il valore aggiunto e i punti di efficienza che il commercio elettronico spesso dovrebbe realizzare."
 

IT: "Anche su eBay è frequente la presenza di venditori (professionali e non) che si servono del portale di aste per importare dall'Asia e rivendere in Italia. Volendo dare loro un consiglio, in che tipologia merceologica è bene investire in questo periodo? E in futuro?"
P.C.: "Un consiglio di questo tipo avrebbe bisogno, per prima cosa di una chiarificazione. Parlare di settori di riferimento per import / export significa soprattutto saper distinguere i mercati e comprendere le profonde diversificazioni sociali e culturali connesse. E’ ormai comune sentir parlare di Cina come mercato “spugna”, India come traino del profitto da delocalizzazione dei terziario, Corea del Sud come lavatrice di consumi generali. Quello che mi preme specificare è che parlare di East Asia come eldorado commerciale significa avvicinarsi ad una diversificazione molto fitta di bisogni e parallelamente a culture commerciali profondamente diverse, caratteri questi spesso e troppo ignorati in funzione di un commercio facile, veloce e senza problemi come spesso i venditori on line promettono. Sorrido quando leggo di professionisti commerciali che operano su India, Cina, Giappone, Corea, Thailandia …in ogni paese allo stesso modo come se fosse lo stesso e con la medesima impronta di appeal commerciale. Il discorso vale soprattutto per l’export ovviamente, ma si ripropone anche nell’import. Capire i punti di forza di un mercato anche in termini di produzione ci permette di ponderare con facilità da dove importare, cosa, con quali garanzie e con quali differenze nella comunicazione.

Forse la mia perplessità per una sorta di “omologazione” nell’approccio funzionale all’import ed export con l’Asia, proviene più dalla mia formazione di mediatore linguistico e culturale che non dal carisma d’affari proprio di un business man, ma rimango convinto che per quanto si parli di global communication e di global market, certe distinzioni siano di norma, anzi possano rappresentare il valore aggiunto alla marketing strategy di un singolo venditore, così come di un’azienda. 

Per quanto riguarda le merci da importare potrebbe essere un discorso poco serio se affrontato su due piedi. Mi basta dire che la Cina, ormai da centinaia di anni, produce per sé stessa tutto ciò di cui il 90% della popolazione ha bisogno. Il business starà allora in quel 10% che stranamente da un ventennio a questa parte sente il bisogno di possedere “altro”. Per quanto riguarda l’import dalla Cina, tutto è ormai importato direi, ma non devo essere io a ricordare che high tech cinese non è high tech giapponese. Sui tessuti, invece, anche i giapponesi più critici importano praticamente tutto dalla Cina, ma ovviamente parlo di prodotti a basso costo. Il luxury è un altro mondo e qui gli Italiani dovrebbero cominciare a giocar pesante." 


IT: "Molti imprenditori italiani (piccoli e medi) sono costantemente in cerca di mercati asiatici in cui investire. Vi è un Paese in particolare che, in base alla sua esperienza di business mediator, potrebbe offrire maggiori chances di guadagno in futuro?"
P.C.: "Non smetto mai di ripeterlo nell’ultimo periodo. Un mercato di successo se ben approcciato è rappresentato dal Giappone. Un Paese lento nella trattativa commerciale, il Giappone riserva migliaia di ostacoli comunicativi e di cerimonialità, ma è uno dei mercati più sicuri, stabili e, lasciatemelo dire, appaganti al mondo. Negli ultimi sei mesi opero come ricercatore e business mediator per diverse aziende che pur operando su settori diversi (termostatico da una parte e lusso dall’altra) continuano a scegliere di investire sul Giappone e di rallentare sulla Cina. I risultati arrivano, forse meno sconvolgenti di quanto potrebbe accadere a parità di successo in mercati più ampi come Cina e India, ma fortemente gratificanti. Noto infatti che in Giappone l’imprenditore italiano riesce a muoversi con più tranquillità. Quando lavoravo a Shanghai, invece, il primo consiglio era quello di tutelarsi in termini legali di tutela della proprietà intellettuale, sulla stipulazione dei contratti etc. 

Il Giappone rimane, nel bene e nel male un mercato di samurai, dove il codice d’affari è profondamente radicato ad un’etichetta. La Cina è l’impero dei commercianti, valorizzabile certamente per l’entusiasmo della compravendita e dell’energia produttiva, ma su cui è necessario munirsi del supporto adatto. 

Per quanto riguarda le chances di guadagno bisognerebbe distinguere settore per settore e soprattutto non accanirsi dietro luoghi comuni. Porto solo un esempio: il vino. I giapponesi lo bevono, lo conoscono, lo studiano e anche se la fetta di mercato generale non è enorme, essa rappresenta comunque una clientela di raffinati appassionati. In Cina il vino non è ancora capito, non è ben conosciuto, ma rappresenta sicuramente una moda per i più ricchi. E il guadagno può essere affrontato proprio cavalcando la scia di questa popolarità ma non su altre certezze. Da qui bisogna partire con due consapevolezze. Primo che ai cinesi comuni il vino non piace, cosa che li distingue dal giapponese medio, secondo che, piaccia o no, che i francesi sono arrivati prima e continuano a vendersi meglio." 


IT: "Quali sono i beni che noi italiani importiamo maggiormente dall'Oriente e che destiniamo al commercio b2c (business to consumer)?"
P.C.: "Qui posso parlare più da curioso che da diretto coinvolto dato che lavoro più come mediatore “direttamente e fisicamente” coinvolto con interlocutori cinesi e giapponesi. Sicuramente ho notato una crescita enorme delle vendite di apparecchiature foto, audio digitali dalla Cina in Italia e in Europa. Io stesso ho acquistato qualche cosa con pessimo riscontro nella qualità. Ora quando devo fare acquisti di questo tipo compro direttamente high tech da Tokyo o meglio ancora da Hong Kong, ma questo privilegio forse lo ha chi viaggia molto." 

IT: "Vendere on line permette di avere un bacino di utenti potenzialmente indefinito, cosa consiglierebbe a chi è interessato a vendere anche all'estero? Del "made in Italy" quali sono i beni maggiormente esportati in Asia?"
P.C.: "Consiglio a tutte le aziende interessate a vendere in Asia di armarsi prima di tutto di un abile comunicatore con conoscenza linguistica e socio culturale di settore. Pensare che cinesi e taiwanesi siano la stessa cosa potrebbe ad esempio condurre ad errori irreversibili per la riuscita di una buona trattativa commerciale. Seconda cosa, valorizzare la strategia di marketing con strumenti che catturino l’attenzione dei nuovi ricchi sia essi cinesi o sud coreani per esempio. Mi riferisco appunto a piattaforme da shopping online, presentato nella lingua di riferimento e richiamando simbologie di pubblicizzazione appetibili per i clienti finali. Ricordo a questo proposito che i sud coreani possiedono il primato mondiale per lo shopping online (v. articolo pubblicato recentemente su Corriere Asia, ndr). 

Terzo, sono sempre più convinto che il “made in Italy” rappresenti l’ultima se non forse l’unica carta da giocare per vincere in termini di visibilità e di eccezionalità su questi mercati. Inutile dire che il lusso rappresenta un’isola felice, così come la moda ma anche il food. Quello che manca, forse, è rivestire questo made in Italy, dietro cui forse nascondiamo molte paure e perché no anche difetti, di eccezionalità comunicativa, di puntualità e rigore e perché no anche di ottimismo. I risultati non tarderebbero ad arrivare."



* Paolo Cacciato è laureato in mediazione linguistica e culturale (Cina e Giappone) presso l'Università degli Studi di Milano, ha frequentato il Master Degree in Lingue Culture e Comunicazione internazionale per le imprese operanti sui mercati asiatici. Direttore editoriale di Corriere Asia - www.corriereasia.com è coordinatore di Asian Studies Group, associazione multidisciplinare specializzata nella formazione linguistica e culturale per la lingua giapponese e cinese. E' membro del Comitato Direttivo di ASG Business Network, gruppo di specialisti operante per supporto linguistico, legale e di consulenza d’affari al commercio in East Asia, e Business Mediator per il mercato cinese e giapponese.
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venerdì 9 maggio 2008

Svolta nel bilateralismo Tokyo - Pechino: firmato accordo senza precedenti


TOKYO: Un evento epocale che segna un passo importante nella storia delle relazioni diplomatiche fra Cina e Giappone, è il commento che sia la tv che la stampa giapponese oggi continua a sottolineare, in merito all'incontro tenutosi ieri qui a Tokyo fra il primo ministro giapponese Yasuo Fukuda e il presidente della repubblica popolare cinese Hu Jintao. Il 2008 rappresenta per i due interlocutori asiatici l'inizio di un rapporto di "reciproco sostegno", il più importante e condizionante messo a segno nella storia diplomatica dei due Paesi fino ad oggi. Sono passati dieci anni ormai dalla storica visita dell'allora presidente cinese Jiang Zemin in Giappone, nel 1998. Allora Tokyo non riservò l'accoglienza aspettata e la Cina non allentò la morsa critica per le vicissitudini storiche intercorse fra i due Paesi durante il periodo dell'imperialismo giapponese. Dieci anni dopo, nell'anniversario di quell'incontro, l'atmosfera è apparsa totalmente cambiata, nessuna menzione all'imbarazzante critica mossa dieci anni prima, bensì spazio ad un accordo che segna una svolta epocale: Cina e Giappone si impegnano a voltare le spalle al passato e a guardare assieme verso il futuro. Il riferimento al sorpasso dell'empasse storico e filosofico in funzione di un dialogo paritario concreto in termini di beneficio economico e produttivo non è assolutamente celato, come viene fatto notare oggi in un'intervista di Ryosei Kokubun, sinologo e professore alla Keyo University di Tokyo. I sorrisi lasciano percià spazio a concreti riferimenti sulla portata degli interessi che vedono i due paesi allineati: primo fra tutti l'accordo sul fronte dell' energia. Giappone e Cina hanno da diverso tempo ripreso a dialogare sul fronte dello sfruttamento delle risorse di gas e petrolio e sono ben lontani, ora più che mai, da accettare condizionamenti esterni in questo dialogo. L'inquinamento torna ovviamente ad essere oggetto di discussione. Il rinnovo degli accordi di Kyoto attraverso un neo trattato che dovrebbe dal 2012 strutturare un assetto internazionale nei limiti d'emissione di gas nocivi e il controllo dell'effetto serra rappresenta uno dei punti focali dalla "missione diplomatica" giapponese sul tavolo di trattative internazionali. La Cina è il secondo Paese al mondo dopo gli USA a rilasciare quantità di gas nocivi oltre gli standard imposti dal protocollo e proprio ieri per la prima volta Hu Jintao ha assunto ufficialmente l'impegno di considerare il neo protocollo come una "importante necessità" e di varare un controllo delle emissioni dannose settore per settore. Il richiamo in tal senso alla formazione giapponese in termini di how know è nuovamente riproposto. La Cina riceverà il sostegno giapponese per l'implemento delle tecnologie che permetteranno un controllo efficace sugli standard d'inquinamento  Hu Jintao ha caldamente richiesto, a mo' di contrappasso, il pieno appoggio giapponese per le prossime Olimpiadi di Pechino, assicurandosi il pieno sostegno mediatico e politico da Tokyo. La risposta di Fukuda ha confermato la piena cooperazione per l'evento come un onore non solo per la Cina ma per tutti i Paesi dell'Asia. Ecco che mai come in queste occasioni il bilateralismo lascia spazio ad una visione multipolare se non addirittura continentale. Termine di riferimento a cui l'Europa è storicamente abituata, ma che rappresenta una reale novità nella geopolitica dei Paesi Asiatici e che lascia spazio a riflessioni sull'importante cambiamento in atto.
Da Tokyo, Paolo Cacciato