TOKYO: Il Giappone necessita di manodopera e urgentemente se non vuole subire una profonda crisi produttiva all'interno delle piccole e medie imprese. E' quanto emerge da una ricerca presentata la scorsa settimana da un gruppo di statisti del Ministero per il Commercio e l'Industria giapponese. La risposta? L'aiuto potrà arrivare dalla manodopera straniera fino ad oggi cautamente limitata dalle politiche di governo.
La ricerca sottolinea la ormai irreparabile necessità di far fronte alla richiesta di manodopera generica proveniente dalle piccole e medie imprese che costituiscono ancora in Giappone il cuore produttivo dell'industria regionale. La riflessione pare convergere sulla possibilità di incentivare la concessione di visti di lavoro agli stranieri, soprattutto anche per quelli che non possiedono qualifiche specifiche occupazionali.
Fino ad oggi, difatti, le misure di controllo dell'immigrazione per motivi di lavoro sono sempre state mantenute alte da parte del Governo Giapponese che ha sempre posto la clausola "skill" come elemento fondamentale per la concessione del visto.
Pare però che il sistema formativo interno pur permettendo la preparazione di tecnici, professionisti, laureati in variegate discipline di studio atte a favorire l'ascesa professionale nel sistema delle "kaisha" (aziende) giapponesi o all'estero, sembra non rispondere al vuoto lavorativo lasciato dall'assenza di manodopera semplice.
Attualmente il governo permette il visto di lavoro anche a soggetti "unskilled" in territorio nazionale solo all'interno di un periodo di training di lavoro per la durata di tre anni, posto sotto osservazione del ministero o, diversamente, attraverso un programma di internship tecnica sviluppato con altri Paesi. Solitamente in questi progetti di scambio, il lavoratore straniero affronta un periodo di formazione seguito da un periodo di lavoro in Giappone, a cui però viene sempre indicato un termine lavorativo e di rimpatrio.
Le cose sicuramente paiono destinate a cambiare anche per coloro che non possono garantirsi di un appoggio istituzionale o l'accesso a programmi di preparazione tecnica come quelli fino ad oggi previsti. Non vi è però da pensare che le frontiere subiranno un'affrettata e irrazionale apertura nei confronti di lavoratori gaijin (stranieri). Il programmatico requisito che il governo continua a considerare come fondamentale per l'emissione del visto di lavoro prolungato continuerà infatti ad essere l'esame di certificazione linguistica (japanese proficiency test) che il governo invita a conseguire nel Paese di origine, proprio per tamponare le ingenti richieste di visto studio da traslare dopo il conseguimento dell'attestato in visto di lavoro.
Seguirà poi una formazione specifica promossa dal ministero attraverso enti specializzati sugli usi e costumi proprio dell'utsukushii nihon - meraviglioso giappone - così come la retorica politica e istituzionale ama definirlo. Solo dopo questi precisi step anche il lavoratore semplice senza particolare qualifica accademica o professionale potrà vedersi garantito un visto di lavoro.
Il numero dei visti per lavoratori "generici" sarà comunque sempre prefissato di anno in anno e i controlli governativi all'interno delle piccole e medie imprese agricole, forestali o di semilavorazione saranno frequenti e molto rigidi.
Da Tokyo, Paolo Cacciato
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