ASIAN STUDIES GROUP
venerdì 13 luglio 2007
Il Giappone dell'illegalità: documentario gallese scuote il silenzio
TOKYO: Pensando alla realtà giapponese e in particolar modo al controllo dell'immigrazione e della gestione delle attività lavorative valide ad ottenere un permesso di soggiorno in regola, immediatamente si ha in mente una realtà occlusiva, difficile da aggirare ed estremamente cauta nell'illecito. Io stesso durante i miei viaggi in Giappone ho sperimentato, al tempo in cui mi recavo per studio, il diniego di gestori di locali o di piccole agenzie di servizi, di fronte alle mie richieste di lavorare in una sorta di "nero legalizzato", o "arubaito" come è definita in giapponese l'attività lavorativa part time o saltuaria senza particolare forma contrattuale, compiuta dai giovani studenti universitari per mantenersi agli studi. Ero straniero, in una realtà sociale prettamente giapponese, pulita, ordinata e regolarizzata. Pur parlando la loro lingua e pur avendo diversi contatti d'appoggio non fu facile, come può esserlo per il caso italiano o europeo in genere, trovare lavoro, soprattutto se si è stranieri e con un semplice visto turistico. Me la cavai con un lavoro presso una pizzeria italiana gestita da giapponesi, amici di carissimi amici.
Ma c'è una realtà che sottende all'apparente rigidità legalizzata dei numerosi locali a cui mi rivolsi per cercare lavoro a Tokyo. Ed appartiene al mondo dei locali notturni, invasi da centinaia di hostess straniere di bella presenza che lavorano come intrattenitrici nelle numerosissime discoteche, clubs o locali d'intrattenimento erotico della capitale. Basta passeggiare per Roppongi per rendersi conto di quante giovani donne straniere siano alle porte dei locali ad invitare i clienti ad entrare e, subito dopo aver varcato l'ingresso, magari spalleggiati da giovani buttafuori di colore alti due metri, ci si rende conto di cosa si nasconda dietro l'apparente immaculatezza dell'illegalità giapponese: sesso, droga, appuntamenti e perversione. Tutto diviene lecito nella patria della yakuza e paradiso del divertimento notturno di una capitale che non dorme mai.
Queste ragazze sono assunte senza alcun permesso di soggiorno e senza alcuna tutela legale contro possibili aggressioni, atti di malavita e soprusi. In Giappone ciò che da noi è sugli occhi di tutti e affollato agli angoli dei marciapiedi delle metropoli e nella maggior parte dei casi affrontato con atti di polizia e d'intervento da parte della magistratura, qui è tutto perfettamente riordinato all'interno dei locali, in microcosmi celati a qualsiasi intervento di polizia o d'indagine della magistratura.
Oggi l'ipocrisia del silenzio dell'amministrazione giapponese, così è definita dalla stampa l'atmosfera che circonda il fenomeno, è denunciata dalle pagine del Japan Times. Di stamani, difatti, è la pubblicazione dell'esperienza di una giornalista che dopo aver assunto in incognito i panni di una giovane e bella gaijin senza permesso di soggiorno, ha affrontato da sola il percorso seguito da molte altre giovani straniere attirate dallo scintillio della capitale giapponese e finite, magari ingenuamente, in una rete malavitosa da cui è difficile non solo uscire, ma soprattutto trovare tutela legale.
La reporter inglese Sian Morgan, si finge hostess per condurre un documentario per conto di Welsh TV ed aiutata dal collaboratore Dai Davis inizia la ricerca di un lavoro. Il risultato? Nulla. Senza un permesso di lavoro nessuno è disposto ad assumere Morgan, in possesso di un semplice visto turistico della durata di tre mesi. "Come poter ottenere un permesso di lavoro se nessuno il lavoro me lo vuole dare?" si chiede Morgan. "In Europa trovi un lavoro e chiedi che ti venga riconosciuto lo status di lavoratore regolare, qui in Giappone sembra il contrario, assurdo!"
Lo special prosegue su Corriere Asia
al link http://www.corriereasia.com/_var/news/DVPTHKR-EMCAGCK-QFI.shtml
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